Il reato di estorsione

Rassegna delle massime e sentenze della Corte di Cassazione  anno 2009-2010

I) Cass. pen., sez. V, Sent. del 05-11-2010, n. 4919

Massima

Integra il reato di concorso in estorsione (art. 110, 629 c.p.) - e non quello di favoreggiamento reale - la condotta di colui che garantisce la regolare percezione del «pizzo» mensile corrisposto dalla vittima dell’estorsione, considerato che la rateizzazione del pizzo dà luogo ad un reato a consumazione prolungata o progressiva e che, in costanza di reato, qualsivoglia aiuto fornito all’autore materiale è punibile a titolo di concorso, in quanto finalizzato a tradursi in sostegno per la protrazione della condotta criminosa.

Sentenza

Fatto e Diritto

Con sentenza del 28-10-2008 il Tribunale di Siracusa condannava Ca.Gi. e C.S. , rispettivamente alla pena di anni otto di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa ed alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, in quanto ritenuti colpevoli, il primo, del delitto di estorsione pluriaggravata, ai sensi dell'articolo 629 c.p., comma 2 e della L. n. 203 del 1991, articolo 7, in danno di Ge.Ma. , ed, il secondo, del delitto di favoreggiamento reale in favore del sodalizio mafioso Bottaro-Attanasio al quale garantiva, unitamente ad altri soggetti giudicati separatamente, di continuare a percepire il pizzo mensile corrisposto dalla famiglia Di Grano, titolare della discoteca "(omesso) ", in tal senso riqualificata l'originaria imputazione di concorso in estorsione pluriaggravata ascrittagli. In riforma della sentenza emessa in data 20.10.2008 dal Tribunale di Siracusa appellata da Ca.Gi. , C.S. e dal Procuratore della Repubblica di Catania, la Corte di Appello di Catania con sentenza del 26.11.2009 dichiarava C.S. colpevole del reato di estorsione aggravata siccome originariamente contestato e lo condannava alla pena di anni 8 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa. Confermava nel resto l'impugnata sentenza. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione Ca.Gi. deducendo violazione dell'articolo 606 c.p.p. con riferimento all'articolo 192 c.p.p. sotto il profilo della prova della individuazione del Ca. come soggetto presente nell'autorimessa del D'. al momento delle telefonate fatte all'estorto Ge.Ma. e sotto il profilo dell'attribuzione del reato fine a chi sia stato condannato per il reato associativo ex articolo 416 bis c.p. Proponeva ricorso per cassazione anche C.S. denunziando violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla qualificazione giuridica attribuita ai fatti contestati dai giudici di appello oltre che mancanza e manifesta illogicità della motivazione per vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato. Infatti assolutamente priva di motivazione ed illogica appariva la sentenza con la quale i giudici della Corte di Appello di Catania, ritenuta non corretta la riqualificazione dell'originaria imputazione di estorsione in quella di favoreggiamento reale, operata dai giudici di primo grado, avevano ritenuto C.S. colpevole, a titolo di concorso, del più grave reato di estorsione aggravata. Denunziava inoltre violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla fattispecie delittuosa del favoreggiamento reale di cui all'articolo 379 c.p. e l'erroneo riconoscimento dell'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 ritenuta apoditticamente sussistente dai giudici di secondo grado. Omessa motivazione in ordine e alla richiesta subordinata di riconoscere la sussistenza della violenza privata di cui all'articolo 610 c.p. e l'erroneo diniego delle circostanze attenuanti generiche. Entrambi i ricorsi sono infondati e meritano il rigetto. In ordine alla presenza del Ca. all'interno dell'autosalone di D'.Gi. il giorno 12-12-03, quando il D'. aveva contattato l'estorto Ge.Ma. per sollecitare il pagamento della somma convenuta, i giudici di merito hanno evidenziato che l'autosalone, oltre ad essere centro di ascolto, era anche sottoposto a controllo visivo. Sul punto i carabinieri M. e C. , addetti al servizio di osservazione dell'autosalone, hanno confermato di aver visto allontanarsi dall'autosalone il Ca.Gi. , ben noto agli stessi per motivi di servizio. Infatti il Ca. era conosciuto alle forze dell'ordine come componente dell'associazione mafiosa Bottaro-Attanasio, come accertato dalle sentenze irrevocabili della Corte di Assise di Catania del 2000 e 2008, segnalate dai giudici di appello. Inoltre la presenza del Ca. era confermata anche dal contenuto delle captazioni e delle intercettazioni telefoniche svoltesi quel giorno all'interno dell'autosalone. Quindi vi sono una molteplicità di elementi i coordinati fra loro che provano la presenza dell'imputato all'interno dell'autosalone, fra cui il riconoscimento da parte dei carabinieri, che ben lo conoscevano per ragioni di servizio, addetti da tempo al controllo dell'autosalone di D'.Gi. individuato dalle forze dell'ordine come luogo privilegiato dagli affiliati del clan Bottaro-Attanasio per pianificare le loro strategie criminali. Deve poi osservarsi che i giudici di merito non hanno attribuito la responsabilità del concorso nell'estorsione solo per la circostanza che il Ca. risultava affiliato al clan Bottaro-Attanasio, come erroneamente deduce il ricorrente, ma la motivazione di conferma della sentenza di primo grado si fonda sul contenuto delle intercettazioni e delle captazioni, ciascuna inserita nella sequenza temporale delle modalità dell'estorsione, modalità che chiariscono il significato delle espressioni usate e la loro valenza probatoria ai fini dell'attribuzione della responsabilità penale in capo all'imputato. Di conseguenza infondato, oltre che non completamente specifico rispetto alla motivazione della sentenza, è il motivo di ricorso con cui si denunzia che la responsabilità penale del Ca. si fonderebbe su di una sola espressione da lui pronunziata - l'attribuzione all'estorto Ge. della qualità di "cornuto", in quanto l'impugnazione tralascia la lettura coordinata che i giudici di merito hanno effettuato di tutte le conversazioni intervenute all'interno dell'autosalone e delle intercettazioni telefoniche intervenute anche fra altri soggetti. In ordine al ricorso proposto da C.S. , la sentenza della Corte di Appello di Catania ha con motivazione logica e non contraddittoria, individuato gli elementi in base ai quali nella condotta posta in essere dall'imputato non poteva essere individuata la fattispecie del reato di favoreggiamento reale, ricorrendo invece la più grave ipotesi del concorso nell'estorsione. Dato processuale incontestato è che i componenti della famiglia Di Grano erano soggetti ad estorsione per cui versavano mensilmente al clan Bottaro-Attanasio delle somme di denaro in cambio della protezione. I giudici di appello hanno sottolineato che atti di turbativa allo svolgimento dell'attività del locale potevano quindi determinare incrinatura nei rapporti con il clan, se non addirittura la interruzione degli esborsi di denaro. Pertanto ogni intervento diretto a far cessare azioni di disturbo era atto idoneo a garantire la regolare percezione delle somme illecitamente pretese a titolo di protezione del locale e quindi la protrazione della consumazione del reato. La Corte ha sottolineato inoltre che la rateizzazione del pizzo da luogo ad un reato a consumazione prolungata o progressiva in cui la condotta originaria provoca un evento che continua a prodursi nel tempo con la riscossione degli illeciti profitti, man mano maturati, e che si ha concorso di reato ogni qual volta si ponga in essere un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa a livello ideativo o esecutivo che può concretarsi anche in singoli atti. La decisione adottata dai giudici di appello è pienamente conforme alle previsione normativa in materia di concorso nel reato in quanto non è dubitabile che, in costanza di esecuzione del reato, qualsivoglia aiuto fornito all'autore materiale è punibile a titolo di concorso, in quanto finalizzato a tradursi in un sostegno per la protrazione della condotta criminosa (cfr. Cass., Sez. 1A, 27 settembre 1995, Foglia; Cass., Sez. 6A, 22 aprile 1994, Sordini). È da ritenersi che l'attività di collaborazione e di appoggio non possa che essere successiva alla consumazione del reato presupposto, di tale che nel caso di reato ancora in atto, come nel caso di specie, l'aiuto prestato determina una responsabilità a titolo di concorso nel reato principale (cfr. Cass., Sez. 1, 7 novembre 2002, Proc. gen. App. Palermo ed altri in proc. Prestifilippo ed altri) e non di favoreggiamento reale. La motivazione adottata dai giudici di appello per ritenere sussistente la più grave ipotesi di concorso nell'estorsione, rispetto a quella meno grave di favoreggiamento reale riconosciuta dai giudici di primo grado, costituisce anche motivazione del rigetto della richiesta avanzata nell'atto di appello di riconoscere la sussistenza del reato di violenza privata. La chiara esplicazione del fine di garantire la protrazione della riscossione dei profitti dell'attività illecita del clan Bottaro-Attanasio concreta la fattispecie integrante l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e la presenza di tale aggravante sorregge anche la negazione delle attenuanti generiche. Lo stato di salute dell'imputato non può incidere sul trattamento sanzionatorio, ma potrà essere oggetto di successivi provvedimenti relativi all'esecuzione della pena. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

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II) Cass. pen., sez. V, Sent. del 06-10-2010, n. 3101

Massima

In tema di estorsione, integra l’aggravante dell’uso del metodo mafioso (art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203 del 1991) la condotta di colui che prospetti l’utilizzo delle somme estorte per aiutare le famiglie di taluni carcerati; né rileva, a tal fine, la circostanza che l’esistenza dell’organizzazione criminale non sia espressa nel contesto delle richieste estorsive, in quanto il mezzo di coartazione della volontà facente ricorso al vincolo mafioso, e alla connessa condizione di assoggettamento, può esprimersi in forma indiretta, o anche per implicito.

Sentenza

Motivi della decisione

Con sentenza in data 5 ottobre 2009 la Corte d’Appello di Salerno, in ciò confermando la decisione assunta dal giudice dell’udienza preliminare presso il locale Tribunale in esito al giudizio abbreviato, ha riconosciuto Ma..Ci. responsabile, in concorso con altri, del delitto di estorsione consumata in danno di Gi.St. , aggravata dall’uso del metodo mafioso, nonchè di estorsione tentata in danno di Sc.Gi. , con la stessa aggravante; ha quindi tenuto ferma, nei confronti di detto imputato, la condanna alla pena di legge come irrogatagli in primo grado. Ha ritenuto quel collegio che l’aggravante di cui al D. L. 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito con modificazioni nella L. 12 luglio 1991, n. 203, fosse configurabile in relazione al prospettato utilizzo delle somme estorte per aiutare economicamente le famiglie di taluni carcerati, così essendosi evocata la presenza di un gruppo di pregiudicati pronti a spalleggiare la richiesta. Ha proposto personalmente ricorso per Cassazione il Ci. , affidandolo a un solo motivo. Con esso contrasta, siccome illegittima, l’applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 7 citato, sostenendo che mai nei contatti coi soggetti passivi delle estorsioni è stata evocata l’esistenza di un gruppo criminale consolidato sul territorio: tant’è vero - così assume - che i destinatari delle richieste non si sono mostrati per nulla intimiditi e hanno opposto un fermo rifiuto. Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso. Con argomentazione del tutto logica, oltre che giuridicamente corretta, il Tribunale del riesame ha osservato che l’aver motivato le richieste del versamento di denaro con la finalità di aiutare economicamente le famiglie di alcuni carcerati, secondo una prassi di solidarietà verso i sodali detenuti che è propria delle organizzazioni di tipo mafioso, è valso ad evocare la presenza - con tutta la sua forza cogente - di un sodalizio di tal fatta, quale mandante della richiesta e destinatario dei corrispondenti vantaggi. Non giova al ricorrente insistere sul fatto che l’esistenza dell’organizzazione criminale non sia venuta ad espressione nel contesto delle richieste estorsive: come la minaccia costitutiva del delitto di estorsione (Cass. 20 maggio 2010 n. 19724), così anche il mezzo di coartazione della volontà facente ricorso al vincolo mafioso, e alla connessa condizione di assoggettamento, può esprimersi in forma indiretta, o anche per implicito. Nè risponde a verità l’assunto secondo il quale i destinatari delle richieste estorsive non si sarebbero lasciati intimidire, cosi dimostrando - in thesi - di non aver interpretato la minaccia come proveniente da un gruppo mafioso. Ciò non è certamente vero per quanto riguarda l’estorsione ai danni della ditta "Mondo Mercato", che infatti è pervenuta a consumazione col pagamento della somma di Euro 1.000,00 da parte di St..Gi. ; ma neppure può dirsi che il rifiuto opposto da Gi..Sc. alla richiesta estorsiva nei confronti della "Euro Affari” giustifichi l’esclusione dell’aggravante, giacchè l’uso del condizionamento mafioso ha comunque permeato di sè il tentativo; tant’è vero che, anche dopo la risposta negativa dello Sc. , la frase "allora poi ve la vedete con loro” ha assunto un indubbio significato evocativo della forza intimidatrice promanata dall’associazione criminale retrostante. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

- a riguardo v. anche G.i.p. Tribunale di Salerno, 17-07-2010, secondo cui la condizione di assoggettamento della vittima, conseguente all’adozione del metodo mafioso, non esige che la vittima stessa debba necessariamente cedere al volere criminale del soggetto agente, omettendo di denunciare i fatti, poiché il raggio dell’aggravante, sulla base della lettera e dello spirito della norma, è disegnato in funzione del comportamento realizzato dall’agente e non in funzione del comportamento della vittima, essendo l’assoggettamento una conseguenza derivata della condizione di essersi avvalso della forza di intimidazione.

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III) Cass. pen., sez. II, Sent. del 14-05-2010, n. 23038

Massime

a) Si ha consumazione, e non mero tentativo del delitto di estorsione, allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nell’ipotesi in cui sia predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all’arresto dei rei e alla restituzione del bene all’avente diritto, in quanto la costrizione, che deve seguire la violenza o la minaccia, attiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si ha tentativo solo quando la condotta vessatoria non raggiunge il risultato di costringere la persona al facere ingiusto.

b) In tema di estorsione, per la configurabilità dell'aggravante delle "più persone riunite" non è necessaria la simultanea presenza fisica di più soggetti attivi nel luogo e nel momento di commissione del reato, essendo sufficiente che il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che la minaccia provenga non solo dal singolo che la profferisce, ma che costui manifesti le comuni, perverse, intenzioni di più persone, di cui si faccia portavoce.

Sentenza

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 9 marzo 2009, la Corte d’appello di Roma, sezione II penale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Latina appellata da Di Silvio Maria Grazia e Poli Emanuel, esclusa al Poli la recidiva, riduceva la pena a quest’ultimo inflitta a due anni, otto mesi di reclusione ed euro 800 di multa con revoca della pena acces-soria; confermava nel resto la decisione impugnata con la quale gli appellanti erano stati dichiarati colpevoli di concorso nel delitto di estorsione in danno di Urbani Marco dal quale pretendevano il versamento di euro 10.000, ottenendo prima di non far pagare alla Di Silvio euro 80 per le cariche telefoniche, poi euro 170 e infine euro 1.000 consegnati in contanti, in Latina dal 1° ottobre al 23 ottobre 2007, con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale per la Di Silvio e con la recidiva specifica per Poli e con la quale la Di Silvio era stata condannata alla pena di cinque anni, otto mesi di reclusione ed euro 800 di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici. La corte territoriale riteneva di dover confermare il giudizio di responsabilità perché fondato sulle numerose denunce presentate dalla persona offesa, attendibili non solo sulla base dell’intrinseca qualità del denunciante e della coerenza dimostrata, ma anche da due fonti di prova incontrovertibili, costituite dal contenuto della registrazione effettuata dall’Urbani in occasione di una delle richieste di denaro e dall’intervento degli agenti della questura di Latina al momento della consegna della somma di euro 1.000. La giustificazione addotta (risarcimento danni patiti dalla Di Silvio per un’ingiusta accusa mossa nei di lei confronti) era smentita dal contenuto delle conversazioni oggetto di registrazione. Il delitto doveva ritenersi consumato. Sussisteva l’aggravante delle più persone riunite e non l’attenuante del risarcimento del danno. Andava invece esclusa l’aggravante della recidiva specifica contestata al Poli, con conseguente riduzione della pena. Non ricorrevano i presupposti per concedere le attenuanti generiche. Contro tale decisione hanno proposto tempestivi ricorsi gli imputati, a mezzo del difensore Poli e personalmente la Di Silvio, che ne hanno chiesto l’annullamento per violazione degli art. 125, 606, lett. b), c) ed e), c.p.p. per erronea e mancata applicazione della norma e per difetto di motivazione, illogica, contraddittoria ed apparente: 1) (comune ad entrambi) perché il giudizio di responsabilità si è fondato sulle denunce di Urbani dalla lettura delle quali emerge con chiarezza la mancanza di elementi costitutivi del delitto contestato. Inoltre risulta che all’episodio del 23 ottobre 2007 Poli non partecipò. La corte d’appello non ha indicato quali siano stati gli elementi di riscontro. Anzi non vi è traccia della videocassetta di cui Urbani ha parlato nella denuncia del 4 ottobre 2007, in relazione a episodi strani nella loro ricostruzione. Non è stata data giustificazione in ordine al ritenuto concorso di Poli né si spiega in cosa sarebbe consistita la minaccia nell’episodio delle tre ricariche telefoniche. Ugualmente nessuna giustificazione sulla sussistenza del delitto contestato è stata fornita in ordine all’episodio della richiesta di euro 170, giustificata per la necessità della Di Silvio di sottoporsi a visita ginecologica, senza alcuna minaccia e senza partecipazione del Poli; 2) (comune ad entrambi) in relazione all’esclusione dell’aggravante delle più persone riunite e art. 629, 2° comma, c.p. perché in nessuno degli episodi gli imputati hanno agito congiuntamente; 3) (comune ad entrambi) in relazione alla qualificazione del fatto come tentativo di estorsione, perché l’episodio del 23 ottobre 2007, al quale Poli non partecipò, avvenne sotto il costante controllo degli agenti di polizia che arrestarono la Di Silvio quando «stringeva ancora in mano la somma di euro 1.000»; 4) (comune ad entrambi) in relazione alla richiesta di derubricazione del reato di estorsione contestato in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni perché la motivazione adottata, che ha valorizzato l’accenno a «situazioni serie» e alla necessità di provvedere a «gente carcerata, è generica e solo apparente dopo avere escluso la sussistenza di un rapporto lecito originario collegato all’ingiusto addebito mosso da Urbani alla Di Silvio di aver rubato le chiavi del negozio, episodio che giustificò l’intervento di Poli in difesa della fidanzata e che legittima la chiesta derubricazione; 5) (del solo Poli) in relazione alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza tenuto conto del ruolo marginale e della personalità; 6) (della sola Di Silvio) in relazione alla mancata esclusione della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, oggetto di specifico motivo di appello, in relazione al quale non è stata data risposta; 7) (comune ad entrambi) in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno e art. 62, n. 6, c.p. perché la somma di euro 1.000 venne subito restituita e le altre somme vennero spontaneamente elargite; 8) in relazione alla pena irrogata perché l’istituto della continuazione è stato solo fittiziamente applicato, perché si potevano irrogare aumenti minimi per la continuazione in modo da contenere la pena adeguandola alla gravità del fatto. Motivi della decisione. 1. - Il primo motivo di ricorso: 1.1. - è infondato per la parte in cui denuncia omessa risposta al motivo di appello con il quale si era rappresentato l’assenza di riscontri alle contraddittorie dichiarazioni di Urbani, perché la sentenza impugnata ha giustificato il diverso convincimento al rilievo che l’attendibilità del denunciante è asseverata, oltre che della valutazione positiva intrinseca della personalità della persona offesa e dalla coerenza delle sue denunce, dal contenuto delle conversazioni registrate e dall’accertamento diretto da parte della polizia giudiziaria al momento della consegna della somma di euro 1.000. È un passaggio della motivazione che non è stato oggetto di specifica critica e che quindi resta come valido argomento giustificativo della decisione adottata; 1.2. - è infondato per la parte in cui lamenta omessa motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato per i due episodi di mancato pagamento delle schede telefoniche e di consegna della somma di euro 170 e comunque in ordine al concorso del Poli, perché la sentenza impugnata, anche attraverso il richiamo alla motivazione di quella di primo grado, ha risposto nel momento in cui ha mostrato di dare lettura complessiva del susseguirsi dei vari episodi avendoli inseriti nel medesimo contesto che vedeva come protagonisti entrambi i ricorrenti (palesanti la comune intenzione di porre la vittima nella situazione di soggezione alle loro pretese). La pretesa di lettura parcellizzata dei singoli episodi si scontra quindi con la diversa interpretazione offerta dai giudici di merito, che, proprio in ragione della non manifestamente illogica comprensione dei fatti nel complessivo contesto, non è suscettibile di censura in questa sede. 2. - Il secondo motivo di ricorso è infondato. Va ribadito che «in tema di estorsione, per la configurabilità dell’aggravante delle ‘più persone riunite’ non è necessaria la simultanea presenza di più soggetti attivi nel luogo e nel momento della commissione del reato, essendo sufficiente che il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che la minaccia provenga non solo dal singolo che la proferisce, ma che costui manifesti le comuni, perverse intenzioni di più persone, di cui si fa portavoce» (Cass. 3 novembre 2005, Calabrese, Foro it., Rep. 2006, voce Estorsione, n. 2; 22 novembre 2006, Bevilacqua, id., Rep. 2007, voce cit., n. 8; 25 settembre 2007, Argirò, id., Rep. 2008, voce cit., n. 19; 31 marzo 2008, Di Bella, ibid., n. 21). L’apparentemente diversa interpretazione (Cass. 22 aprile 2009, Limatola, id., Rep. 2009, voce cit., n. 18) non offre argomenti a favore dei ricorrenti, perché nel caso concreto la sinergia dell’azione e quindi la compresenza dei soggetti agenti nella comune azione vessatoria è ben giustificata in fatto. 3. - Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. Ed invero «si ha consumazione, e non mero tentativo del delitto di estorsione, allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nell’ipotesi in cui sia predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all’arresto dei rei e alla restituzione del bene all’avente diritto» (Cass. 19 giugno 2009, Gandolfi; sez. un. 27 ottobre 1999, Campanella, id., Rep. 2000, voce cit., n. 2), in quanto «la costrizione, che deve seguire la violenza o la minaccia, attiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento» sicché si ha tentativo solo quando la condotta vessatoria non raggiunge il risultato di costringere la persona al facere ingiusto. La denuncia alla polizia giudiziaria per denunciare l’altrui condotta antigiuridica non elide l’evento del costringimento e quindi l’assenso alla collaborazione nelle indagini non elimina il nesso di causalità tra la condotta violenta o minacciosa e la costrizione alla condotta pretesa (Cass. 18 novembre 2005, Terrenghi, id., Rep. 2006, voce cit., n. 1). 4. - Il quarto motivo di ricorso, che denuncia violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è dedotto in maniera inammissibile, perché a fronte delle giustificazioni addotte (attraverso il richiamo oltre che alle denunce anche al contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazione, sulle ragioni delle richieste di denaro per la necessità di provvedere a «gente carcerata») sollecita un’ulteriore e non consentita valutazione di merito attraverso la proposizione di ricostruzione alternativa, e quindi a ulteriore giudizio di merito, come tale non consentito in questa sede. L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato — per espressa volontà del legislatore — a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello della «rilettura» degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass., sez. un., 30 aprile 1997, Dessimone e altri, id., 1998, II, 90; 24 settembre 2003, Petrella, id., Rep. 2003, voce Pena (applicazione su richiesta), n. 41).  5. - Il motivo di ricorso (del solo Poli), che denuncia erronea applicazione della norma e omessa o contraddittoria motivazione in relazione alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, è dedotto in maniera inammissibile, perché sollecita una non consentita valutazione di merito sulla personalità e sul ruolo del Poli, senza formulare alcuna critica alla sentenza impugnata. 6. - Il motivo di ricorso (della sola Di Silvio), che denuncia difetto assoluto di motivazione in ordine alla richiesta di esclusione dell’aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, è infondato, perché la sentenza ha spiegato per quali ragioni ha ritenuto corretta la quantificazione della pena, in particolare attraverso l’esplicito richiamo ai «numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio dei quali è gravata la donna». Il richiamo a canoni interpretativi di questa corte (Cass. 2 luglio 2007, Farris, id., 2007, II, 674, e 19 aprile 2007, Meradi, id., Rep. 2007, voce Recidiva, n. 10) è improprio, perché le citate sentenze si occupano della questione della facoltatività dell’art. 99, 4° comma, e quindi dell’operatività-inoperatività del giudizio di bilanciamento imposto dall’art. 69 c.p. Nel caso in esame si verte in ipotesi di recidiva obbligatoria ex art. 99, 5° comma, c.p., perché oggetto di condanna è il delitto di estorsione aggravata a norma dell’art. 629, 2° comma, c.p. richiamato dall’art. 407, 2° comma, lett. a), c.p.p. 7. - Il motivo di ricorso, che denuncia violazione di legge e omessa motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p., è manifestamente infondato, perché a fronte della motivazione della sentenza impugnata, la quale ha rammentato che la somma di euro 1.000 non è stata oggetto di restituzione ma di recupero ad opera della polizia giudiziaria e che comunque non è comprensiva del danno di natura morale, il ricorso si limita a reiterare le ragioni a fondamento dell’appello. 8. - L’ultimo motivo di ricorso, che attiene alla quantificazione della pena, in particolare agli aumenti di pena in ragione della continuazione, è inammissibile perché la questione è dedotta senza alcuna critica alla sentenza impugnata e si limita a lamentare un aumento incongruo in relazione alla gravità dei fatti, in tal modo sollecitando una nuova valutazione di merito, come tale non consentita in questa sede. 9. - I ricorsi debbono essere in conseguenza rigettati.

Breve commento:

- Con la massima in epigrafe sub a), la corte riproduce il prevalente indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in tema di estorsione, per la configurabilità dell’aggravante delle persone riunite non sono necessari né la simultanea presenza fisica di più soggetti attivi nel luogo e nel momento della commissione del reato né che la minaccia venga posta in atto da questi contemporaneamente, essendo sufficiente che la condotta estorsiva sia attuata da più soggetti agenti in concorso in modo tale da far percepire al soggetto passivo che l’azione costrittiva proviene da più persone coalizzate ai suoi danni: Cass. 19 giugno 2009, Nicolosi, Ced Cass., rv. 245146; 31 marzo 2008, Di Bella, cit. in motivazione, Foro it., Rep. 2008, voce Estorsione, n. 21; 24 ottobre 2007, Milone, ibid., n. 20; 25 settembre 2007, Argirò, ibid., n. 19; 22 novembre 2006, Bevilacqua, id., Rep. 2007, voce cit., n. 8; 3 novembre 2005, Calabrese, id., Rep. 2006, voce cit., n. 2, le ultime tre citate in motivazione; 3 dicembre 1990, Silvestro, id., Rep. 1992, voce cit., n. 8; 20 settembre 1990, Cervi, ibid., n. 9; 17 gennaio 1990, Annacondia, id., Rep. 1991, voce cit., n. 11; 22 dicembre 1987, La Spada, id., Rep. 1989, voce cit., n. 11; 12 agosto 1987, Gaglioli, ibid., n. 13, e Cass. pen., 1989, 53, con nota di MARTINA; 26 gennaio 1987, Franciosa, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 7; 5 settembre 1984, Guzzi, id., Rep. 1986, voce cit., n. 11; 10 marzo 1983, Cuozzo, id., Rep. 1984, voce cit., n. 19; 26 giugno 1981, Minniti, id., Rep. 1983, voce cit., n. 34. In senso contrario, e cioè che — ai fini della configurabilità dell’aggravante delle più persone riunite — si richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento in cui si realizza la violenza o la minaccia, in quanto solo in tal modo hanno luogo quegli effetti fisici e psichici di maggiore pressione sulla vittima che ne riducono significativamente la forza di reazione e giustificano il rilevante aumento di pena, cfr. Cass. 22 aprile 2009, Limatola, cit. in motivazione, id., Rep. 2009, voce cit., n. 18; 11 febbraio 1983, Stefanelli, id., Rep. 1984, voce cit., n. 20; 12 dicembre 1981, Sarà, id., Rep. 1982, voce cit., n. 21; 19 febbraio 1981, Latella, ibid., n. 23.

- L’interpretazione accolta nella massima sub b) coincide con l’orientamento prevalentemente accreditato nella giurisprudenza di legittimità — e avallato dalle sezioni unite — secondo il quale non esclude la consumazione del delitto di cui all’art. 629 c.p. la circostanza che la consegna del denaro all’estorsore da parte della vittima avvenga in presenza delle forze dell’ordine preventivamente allertate e appostate, ma intervenute dopo il conseguimento del possesso del denaro stesso, sia pure per una breve frazione temporale, da parte dell’estorsore, in quanto la consumazione del reato deve rapportarsi al momento e nel luogo in cui si è verificato l’ingiusto profitto con l’altrui danno: cfr. Cass. 19 maggio 2009, Delicato, Foro it., Rep. 2009, voce Estorsione, n. 8, e sez. un. 27 ottobre 1999, Campanella, id., Rep. 2000, voce cit., n. 2, cit. in motivazione; 20 febbraio 1996, Palermo, id., Rep. 1997, voce cit., n. 4; 13 aprile 1995, Panetta, id., Rep. 1996, voce cit., n. 7, e Dir. pen. e proc., 1996, 600, con nota di PISA; 7 gennaio 1988, La Rocca, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 8; 2 maggio 1987, Casadei, id., Rep. 1988, voce cit., n. 4; 16 febbraio 1987, Balzano, ibid., n. 3; 2 giugno 1983, Rao, id., Rep. 1984, voce cit., n. 23; 12 marzo 1982, Turco, id., Rep. 1983, voce cit., n. 12; 7 dicembre 1978, Fazari, id., Rep. 1981, voce cit., n. 11, e Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 370, con nota di PETRINI. In senso difforme — e cioè per la tesi secondo la quale in tema di estorsione, la predisposizione del servizio di polizia per la sorpresa in flagranza degli estorsori nel luogo stabilito per la consegna del denaro degrada il reato da consumato a tentato solo nell’ipotesi in cui si riesca ad impedire la consegna del denaro o, nel caso in cui questo avvenga, se l’imputato resti nella detenzione del denaro solo per brevi istanti occorrenti agli agenti per intervenire — v. Cass. 28 ottobre 1988, Florio, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 6, e 19 aprile 1983, Giangiacomo, id., Rep. 1984, voce cit., n. 22.

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IV) Cass. Pen., sez. II penale, Sent. del 01-04-2009, n. 20072

Massime

a) Risponde del delitto di estorsione tentata il parcheggiatore abusivo il quale, con atteggiamento intimidatorio, compia atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere l'automobilista ad un atto di disposizione patrimoniale, quand'anche di pochi spiccioli (nella specie, richiesta di euro 1,50).

b) Correttamente nel comportamento del «parcheggiatore abusivo» che, con atteggiamento intimidatorio, minaccia l'automobilista di un danno grave alla propria integrità fisica e ai membri della sua famiglia (nella specie, la minaccia era consistita nell'aver dichiarato di potersi avvalere, ove necessario, dell'intervento di una famiglia di «pregiudicati»), al fine di costringerlo a pagare il parcheggio della propria autovettura (nella specie, la pretesa era corrispondente alla somma di euro 1,50), viene ravvisato il reato di tentata estorsione e non le ipotesi meno gravi di cui agli art. 393 (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone) e 610 (violenza privata) c.p.

Breve commento:

La sentenza sopra riprodotta, concessa la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.), conferma la condanna di un anno e otto mesi di reclusione nei confronti di un parcheggiatore abusivo, reo di aver minacciato un automobilista per estorcergli la somma di euro 1,50. Già altre volte la Cassazione si era impegnata nel qualificare la condotta dei parcheggiatori abusivi — vera «piaga sociale» delle regioni del meridione d’Italia: tali soggetti, privi di qualsivoglia autorizzazione da parte dell’autorità pubblica, pretendono per mestiere la corresponsione di un compenso da parte degli automobilisti che lasciano in sosta la loro vettura sulla pubblica via, in una zona ritenuta di loro «pertinenza», vi sia o meno un parcheggio ivi autorizzato dall’autorità comunale (per un precedente inquadramento dell’ipotesi come tentativo di estorsione, e non già di violenza privata aggravata, v. Cass. 3 novembre 1993, Schlegel, Foro it., Rep. 1994, voce Estorsione, n. 2, e Arch. circolaz., 1994, 968). Ritenuta indubbia la configurabilità dell’estorsione, anziché del meno grave reato di violenza privata, «considerato che entrambe le fattispecie incriminatrici in questione (estorsione e violenza privata) tutelano la libertà di autodeterminazione dell’individuo, ma ricorre il delitto di estorsione allorché la coartazione sia preordinata a procurare al soggetto attivo un ingiusto profitto» (Cass. 19 aprile 2006, Arsova, Foro it., Rep. 2007, voce cit., n. 12); ed indubbia la sussistenza del tentativo, «nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere una persona al facere ingiusto» (Cass. 10 giugno 2008, Molinari, id., Rep. 2008, voce cit., n. 18), costituendo proprio l’«ingiusto profitto con altrui danno» l’evento di cui all’art. 629 c.p.; alcune incertezze possono residuare in ordine alla modalità della condotta, «vincolata», secondo il dettato codicistico, al ricorrere degli estremi della violenza o della minaccia. In effetti, la condotta del posteggiatore abusivo il più delle volte non contiene un esplicito riferimento al male futuro che l’automobilista sarà costretto a subire (presumibilmente ai danni della propria vettura) in caso di mancata corresponsione della somma, ma assume comunque un contenuto intimidatorio implicito, larvato, indiretto e indeterminato, «in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima, ed alle condizioni ambientali in cui questa opera» (Cass. 10 aprile 2001, Massaro, id., Rep. 2001, voce cit., n. 1). Una minaccia «implicita», comunque «idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo» (visto come soggetto «di normale impressionabilità», di fronte a una «pretesa ingiusta», da parte di individui dalla «personalità sopraffattrice»), è in giurisprudenza pacificamente ritenuta sufficiente ad integrare il presupposto del reato di estorsione (v. Cass. 29 aprile 1999, Labalestra, id., Rep. 1999, voce cit., n. 8; 26 gennaio 1999, Savian, ibid., n. 7, e Riv. pen., 1999, 566; più recentemente, nella giurisprudenza di merito, Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 14 aprile 2008, Foro it., Le banche dati, archivio Merito extra, 2009.494.6). Nel senso che «la richiesta di denaro (...) integra gli estremi del delitto di estorsione anche se formulata in termini di estrema cortesia, quando l’invito a pagare serva ad incutere nella vittima il timore di rischi e pericoli inevitabili (implicitamente, per le allusioni generiche a danni futuri ..., o esplicitamente per l’uso di intimidazione violenta)», v. Cass. 2 marzo 1987, Soriano, id., Rep. 1988, voce cit., n. 5. Configura una nozione di estorsione c.d. ambientale, che prescinde da un’effettiva azione di coartazione proveniente dal soggetto attivo, ed incentra piuttosto la modalità della condotta su di uno «stato oggettivo di soggezione» della vittima, ricondotto alla pressione psicologica genericamente esercitata da fattori ambientali, Trib. Vercelli 2 febbraio 1995, id., 1995, II, 365, con nota di TESAURO, «Meglio prevenire che curare»: la c.d. estorsione ambientale al vaglio della giurisprudenza di merito. In proposito, ai fini della sussistenza del reato di estorsione, la dottrina maggioritaria ritiene essenziale, anziché la forma della minaccia, la presenza di un nesso strumentale ed eziologico tra condotta intimidatoria e costrizione psicologica (v. FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Bologna, 1996, 141; F. MANTOVANI, Diritto penale, parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Padova, 1989, 148). Sull’esportazione della formula del «condizionamento ambientale» al di fuori del particolare ambito della concussione (nel quale è originariamente maturata), premessa dal punto di vista metodologico la significativa contiguità esistente tra estorsione e concussione, v. TESAURO, op. cit.; per ulteriori approfondimenti, v. Fondo antiusura e antiracket, a cura dell’Ufficio commissario straordinario di governo per il coordinamento iniziative antiracket e antiusura, e, in particolare, BUSÀ, Il concetto di intimidazione ambientale, entrambi in Dir. e giustizia, 2005, suppl. al n. 10. [A. Di Landro]

Tag: Diritto Penale, estorsione ed usura



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