Il reato di estorsione

Rassegna delle massime e sentenze della corte di cassazione -  anno 2013

I) Cass. pen., sez. II, Sent. del 27-11-2013, n. 50074

Massima

Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, per costringere i suoi dipendenti ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, li minacci di licenziamento. L'ingiustizia del profitto è in re ipsa, riferita alle prestazioni non corrisposte, che si traducono anche nella ingiustizia del licenziamento, pervaso da un disvalore giuridico penale che proviene dalla sua ingiusta causa.

V. anche Cass. pen., sez. II, Sent. del 20-03-2013, n. 28390

Massima

Integra gli estremi del delitto di truffa, e non di estorsione la condotta di chi, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, rappresenta falsamente alla vittima un pericolo immaginario proveniente da terzi e si offre di adoperarsi per evitargli tale fatto in cambio di denaro.

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II) Cass. pen., sez. II, Sent. del 16-10-2013, n. 47207

Massima

Il reato di truffa aggravata dall'essere stato ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario (art. 640 cpv. n. 2 c.p.) si configura allorché venga prospettata al soggetto passivo una situazione di pericolo che non sia riconducibile alla condotta dell'agente, ma che anzi da questa prescinda perché dipendente dalla volontà di un terzo o da accadimenti non controllabili dall'uomo; in tal caso la vittima viene infatti indotta ad agire per l'ipotetico pericolo di subire un danno il cui verificarsi, tuttavia, viene avvertito come dipendente da fattori esterni estranei all'agente, che si limita pertanto a condizionare la volontà dell'offeso, senza peraltro conculcarla, con una falsa rappresentazione della realtà; al contrario se il verificarsi del male minacciato, pur immaginario, viene prospettato come dipendente dalla volontà dell'agente, il soggetto passivo è comunque posto davanti all'alternativa di aderire all'ingiusta e pregiudizievole richiesta del primo o subire il danno: in tali ipotesi pertanto si configura il delitto di estorsione, ed a nulla rileva che la minaccia, se credibile, non sia concretamente attuabile. (nella specie, gli imputtai, dietro minaccia implicita di non restituire un attrezzo per cantiere edile, precedentemente sottratto, costringevano il proprietario a corrispondere loro la somma di Euro 2.000; la Corte ha cassata con rinvio la decisione del giudice del merito che aveva prosciolto, per difetto di querela, gli imputati avendo ravvisato nella condotta dagli stessi posta in essere gli estremi di quella prevista dall'art. 640 c.p., invece che quella, originariamente contestata, di cui all'art. 629 c.p.).

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III) Cass. pen., sez. II, Sent. del 02-07-2013, n. 41167

Massime

a) In caso di estorsione, le diverse condotte di violenza o minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto senza riuscire a conseguirlo costituiscono autonomi tentativi di estorsione, unificabili con il vincolo della continuazione, quando singolarmente considerate in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all'elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità; si ha, invece, un unico tentativo di estorsione, pur in presenza di molteplici atti di minaccia, allorché gli stessi costituiscano singoli momenti di un'unica azione.

b) In tema di estorsione va considerata integrata l'ipotesi tentata ed esclusa la desistenza quando la consegna della somma di denaro, costituente oggetto di una richiesta effettuata con violenza o minaccia, non abbia avuto luogo non per autonoma volontà dell'imputato, bensì per la ferma resistenza opposta dalla vittima.

Sentenza

Fatto
1. Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame ed appello de libertate, con l'ordinanza indicata in epigrafe ha confermato quella con la quale il locale GIP distrettuale, in data 14 gennaio 2013, aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere ad T.A., M.R. ed M. A., indagati e gravemente indiziati - in concorso con A. A. - del reato di tentata estorsione continuata e pluriaggravata, anche L. n. 203 del 1991, ex art. 7, in danno dell'imprenditore AL.NI., amministratore unico della società GPN, aggiudicataria di un appalto quinquennale per la raccolta di rifiuti del Comune di Cercola (in cambio di detta prestazione l'imprenditore avrebbe ricevuto nel complesso la somma di undici milioni di Euro) commessa in particolare avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p., derivanti dalla notoria appartenenza di A.A. all'organizzazione camorristica denominata "clan CUCCARO", operante nel territorio del quartiere di (OMISSIS), nonchè al fine di agevolare la predetta associazione camorristica, in (OMISSIS), dal mese di (OMISSIS) con condotta perdurante). 1.1. Il Tribunale del riesame, premesso che la contestazione attiene all'evidenza ad un delitto tentato, che l'ordinanza coercitiva de qua segue altri provvedimenti della stessa natura e che la vicenda si inserisce nello scenario criminale delineatosi in (OMISSIS) dopo che il sodalizio criminale riconducibile alle famiglie CUCCARO-ALBERTO- APREA aveva sostituito il clan Sarno nel controllo criminale sul territorio, ha osservato che può ritenersi pacifico (e non contestato neanche dalla difesa) il dominio esercitato in (OMISSIS) dal predetto clan, esistente e capeggiato da A.A. detto (OMISSIS), ed ha valorizzato, ad integrare il necessario quadro di gravità indiziaria in danno degli odierni ricorrenti in relazione al reato contestato le dichiarazioni della p.o. AL.NI. - che aveva rivelato ad un tenente dei carabinieri di avere ricevuto un richiesta estorsiva a nome del clan dominante in Barra, da parte di un consigliere comunale e due imprenditori (i tre odierni ricorrenti) - ribadite dallo stesso anche nel corso di un colloquio con altra imprenditrice, oggetto di intercettazione: l' AL. aveva rifiutato con veemenza l'eventualità di pagare, ed aveva costretto il consigliere comunale T. a recarsi dai CC per raccontare l'accaduto, cosa che il T. aveva fatto, ridimensionando la portata del fatto. Successivamente, l' AL. era stato nuovamente contattato dal T. e da M.R., che gli avevano riferito di essere stati fraintesi, avendo soltanto "affettuosamente consigliato" di accordarsi con gli estorsori, avvertendolo che questi sapevano tutto di lui, ed offrendosi di fungere da vettori della somma, in modo di evitare all' AL. contatti diretti con la camorra. L' AL. era stato ancora una volta irremovibile, e si era nuovamente recato dal tenente dei CC per riferire l'accaduto, ricevendo il consiglio di registrare il successivo colloquio, cosa che l' AL. aveva fatto, apprendendo dal T. che era il M. a gestire la questione. Le intercettazioni delle conversazioni intervenute inter partes confermano quanto narrato dall' AL., ed in particolare l'assoluta ingiustizia della pretesa (una elargizione in "denaro da versare ai barresi i quali hanno necessità di affrontare le spese per i carcerati e gli avvocati"), ed il ruolo di intermediari del clan svolto dal T. e dai M.. Ulteriori intercettazioni documentano l'esistenza di rapporti personali di tipo amicale tra i due M. ed A.A., personaggio malavitoso di spicco, che peraltro il Tribunale del riesame ha ritenuto non raggiunto da un quadro indiziario sufficiente. Cionondimeno ha confermato l'impugnata misura, osservando che l' AL. appare senz'altro attendibile, che le conversazioni intercettate e le stesse dichiarazioni del T. ne confermano, in parte, la versione, e concludendo che dagli elementi raccolti "risulta con chiarezza che T.A. è stato il primo soggetto ad avvicinare AL., facendo riferimento al clan di Narra e alla necessità di pagare, rivestendo il ruolo (...) di "gancio". Quindi ne implementa sapientemente i timori, ricordandogli la pericolosità di coloro che pretendevano il denaro. Ancora, tenta di persuaderlo ad accontentare i richiedenti, spalleggiato da M.R.. Infine si attribuisce un qualche merito nella dilazione ottenuta grazie ai buoni uffici di M.A.. Una dilazione destinata a scadere presto, con i "barresi" che sarebbero tornati a presentare il conto. La è un'adesione totale, partecipe e convinta, verosimilmente anticipata con le notizie fornite al clan in ordine all'ammontare dell'appalto". M.R., pur dopo l'iniziale rifiuto dell' AL. di sottostare alla richiesta estorsiva, "ha continuato nelle pressioni per convincere la p.o. a pagare, rimodulando la richiesta, sempre in nome (...) della criminalità organizzata, posticipandone la dazione, non senza avere prima palesato all' AL. la pericolosità dei suo interlocutori; offrendosi, unitamente al T.; per la consegna del denaro (...); ed infine richiedendo comunque "per il momento" l'assunzione del nipote, anche tramite il solito T.". Ed alla difesa che riteneva tale richiesta motivata unicamente da scopi umanitari, il Tribunale ha replicato che "quali che fossero le motivazioni (...) dell'indagato, la richiesta di assunzione - peraltro non solo del nipote - veicolata attraverso il solito T. assume tutt'altra connotazione ed appare riferibile ai "barresi"". Ed M.A. "interviene, ben consapevole dell'intera vicenda, ed ottiene, secondo quanto T. riferisce ad AL., la dilazione del pagamento a Natale". 2. Avverso il provvedimento indicato in epigrafe, hanno proposto ricorso gli indagato, il T. assistito dall'avv. V. Maiello, i M. dall'avv. P. Cerruti, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1: T.: 1 - violazione ed erronea applicazione degli artt. 56 e 629 c.p., e relativo vizio di motivazione (lamentando l'immutazione del fatto contestato - conseguente all'esclusione della partecipazione dell' A. -, e comunque il plurimo vizio di motivazione quanto alle motivazione dei tre indagati - incensurati colletti bianchi - ed alla presunta destinazione della somma che avrebbe dovuto essere versata dall' AL., e la configurabilità della desistenza); 2 - violazione ed erronea applicazione degli artt. 56 e 629 c.p. (lamentando la non configurabilità del tentativo, essendo la condotta accertata arrestata ai meri atti preparatori non punibili); R. ed M.A.: 1 - violazione dell'art. 56 c.p., commi 1 e 3, e motivazione illogica (lamentando che l'accertata azione criminosa sin sarebbe arrestata in fase antecedente al tentativo punibile, e comunque la configurabilità della desistenza); 2 - violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3 e motivazione illogica (lamentando l'inadeguatezza del quadro indiziario valorizzato in danno di M.A. e la necessità che le dichiarazioni dell' AL., nella parte in cui riferiscono quanto appreso dall'indagato T. a carico di M.A., fossero sorrette da riscontri); 3 - violazione dell'art. 81 cpv. c.p. (per insussistenza della ritenuta continuazione). 3. All'odierna udienza camerale, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio ha deciso come da dispositivo in atti.

Diritto
I ricorsi sono infondati e vanno nel loro complesso rigettati. 1. E' anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale. 1.1. Secondo l'orientamento di questa Corte Suprema, che il Collegio condivide e reputa attuale anche all'esito delle modifiche normative che hanno interessato l'art. 606 c.p.p. (cui l'art. 311 c.p.p. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di riesame, mezzo di impugnazione, sia pure atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validità dell'ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali indicati nell'art. 292 c.p.p., ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all'art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all'accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. un., n. 11 del 22 marzo 2000, Audino, rv. 215828; conforme, dopo la novella dell'art. 606 c.p.p., sez. 4, n. 22500 del 3 maggio 2007, Terranova, rv. 237012). Si è, più recentemente, osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (sez. 5, n. 46124 dell'8 ottobre 2008, Pagliaro, rv. 241997; sez. 6, n. 11194 dell'8 marzo 2012, Lupo, rv. 252178). L'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e delle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.) è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo "all'interno" del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice. 1.2. Il Tribunale del riesame ha valorizzato, ad integrazione del necessario quadro di gravità indiziaria legittimante l'emissione della impugnata misura coercitiva, una articolata serie di elementi (innanzi riepilogati: cfr. 1.1 della premessa in fatto), dai quali - con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente da vizi rilevabili in questa sede, oltre che in difetto delle ipotizzate violazioni di legge - è stata nel complesso desunta la sussistenza del necessario quadro di gravità indiziaria in relazione al reato ipotizzato, nella specie senz'altro configurabile nei suoi elementi costitutivi essenziali.Le doglianze dei ricorrenti inerenti all'adeguatezza del quadro indiziario valorizzato dal Tribunale del riesame si risolvono, al contrario, nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, laddove in sede di legittimità occorre unicamente accertare se gli elementi di fatto valorizzati dai giudici del merito siano corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice che si assume violata. 2. Il ricorso del T. è in toto infondato. 2.1. Il primo motivo è infondato. Invero, l'esclusione dell'adeguatezza degli elementi raccolti ad integrare il necessario quadro indiziario grave a carico di A.A. (in ipotesi, il capo camorra dominante in zona, nonchè mandante) non ha comportato alcuna immutazione del fatto contestato, avendone unicamente limitato l'ambito, emergendo con evidenza dagli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato le condotte estorsive (quelle descritte nella contestazione provvisoria) pur sempre poste in essere dagli odierni ricorrenti con metodo mafioso, ovvero evocando come mandante/beneficiario (non importa se inconsapevole) il malavitoso dominante in zona; nè può assumere rilievo il fatto che in tal modo, a dire della difesa, risulterebbero inspiegabili le condotte poste in essere da tre colletti bianchi incensurati, poichè esse trovano spiegazione di per sè nel proposito inequivocabilmente palesato e documentato dal provvedimento impugnato, di carpire indebitamente all' AL. (titolare di un remunerativo appalto) rilevanti somme di denaro, non importa se per sè (correndo il rischio di ritorsioni del capo camorra inconsapevole, del quale era stato "speso" il nome) o per versarle ad un mandante malavitoso a carico del quale non era stati raccolti sufficienti elementi indiziari. D'altro canto, che con riguardo ad un delitto arrestatosi allo stadio del tentativo la conclusiva destinazione delle somme che gli agenti intendevano procurarsi possa essere non verificabile con certezza appare fisiologico. 2.1.1. Assolutamente non configurabile è l'invocata desistenza, essendo stato per intero posto in essere il tentativo compiuto contestato, e non avendo la condotta dei ricorrenti (richiesta alla p.o. di denaro non dovuto, accompagnata da minacce neanche soltanto implicite per il caso di rifiuto di accondiscendere) raggiunto il proprio scopo non perchè essi abbiano deciso di non portarla ad ulteriori conseguenze, bensì soltanto perchè la p.o. non si è intimidita, non ha consegnato la somma richiesta ed ha denunciato il fatto ai Carabinieri. Questa Corte Suprema ha già chiarito, proprio in tema di tentata estorsione, che la desistenza volontaria è configurabile solo qualora l'agente abbia ancora l'oggettiva possibilità di consumare il reato in quanto ancora nel pieno dominio dell'azione in atto (sez. 6, 9 novembre 2011, n. 40678, rv. 251058). Nel caso di specie, a seguito del deciso rifiuto opposto dall' AL. alle reiterate richieste estorsive ricevute ad opera degli indagati, questi ultimi non avevano più il pieno dominio dell'azione. Per tale ragione, e considerato che la consegna della somma di denaro costituente oggetto di una richiesta estorsiva non aveva avuto luogo non per autonoma volontà degli indagati, bensì per la ferma resistenza opposta dalla vittima, la configurabilità della desistenza va esclusa: più che di desistenza dalla condotta criminosa contestata deve piuttosto parlarsi di incapacità od impossibilità di portare a compimento il piano criminoso preventivato, per l'imprevisto ostacolo costituito dalla inopinata resistenza opposta dalla vittima. Va in proposito affermato il seguente principio di diritto: "In tema di tentativo, la configurabilità della desistenza va esclusa quando la consegna della somma di denaro costituente oggetto di una richiesta estorsiva non abbia avuto luogo non per autonoma volontà dell'imputato, bensì per la ferma resistenza opposta dalla vittima". 2.2. Assolutamente infondato risulta anche il secondo motivo, che lamenta la configurabilità di meri atti preparatori, atteso che le richieste estorsive furono, in più occasioni, formulate, sempre accompagnate dal riferimento al clan malavitoso richiedente e dall'evocazione dei connessi pericoli per l'incolumità del destinatario, ed erano senz'altro idonee ad intimidire l' AL., e dirette in modo non equivoco a perpetrare un'estorsione. Si è peraltro già ritenuto che, per la configurabilità del tentativo, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri - come quelli nella specie accertati - , ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (sez. 2, 4 dicembre 2012, n. 46776, rv. 254106). D'altro canto, il fatto che la vittima non si sia intimidita non comporta la non configurabilità del tentativo, poichè l'idoneità degli atti posti in essere va notoriamente valutata ex ante: ne consegue che, ai fini della valutazione dell'idoneità di una minaccia estorsiva, è priva di rilievo la capacità di resistenza dimostrata, dopo la formulazione della minaccia, dalla vittima, (sez. 2, 18 marzo 2013, n. 12568, rv. 255538). 3. Il ricorso dei M. è in toto infondato. 3.1. Quanto al primo motivo, deve necessariamente farsi rinvio a quanto già rilevato nei pp. 2.1.1. e 2.2. di queste Considerazioni in diritto. 3.2. Il secondo motivo è infondato, poichè, se, da un lato, attesa la qualità dell' AL. di persona offesa del reato, la sue dichiarazioni non necessitano di riscontri, dall'altro il Tribunale ha valorizzato a carico di M.A. non soltanto quanto riferito all' AL. dal T., risultando ex actis anche che effettivamente - a seguito del riferito intervento di M. A. per allentare la pressione estorsiva sull' AL. e differire il momento del pagamento del quantum richiesto - l' AL. non ricevette ulteriori richieste e/o pressioni. Il Tribunale del riesame ha, inoltre, osservato, con motivazione ancora una volta esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente da vizi rilevabili in questa sede, oltre che in difetto dell'ipotizzata violazione di legge, che, in ordine all'intervento di M.A., ben consapevole dell'intera vicenda, per ottenere una dilazione del pagamento fino a Natale, "è vero che sul punto non vi sono registrazioni o intercettazioni ma solo la parola della p.o., nondimeno quanto detto in ordine alla sua credibilità rende utilizzabile tale dato a carico di M.A., tanto più che intenti calunniatori sono da escludere alla luce delle stesse dichiarazioni rese da M.A. innanzi al riesame, che palesano l'esistenza di buoni rapporti tra lui e la p.o.". 3.2.1. Peraltro, emergendo i riferimenti ad M.A. come intermediario nell'ambito della vicenda estorsiva de qua, anche da conversazioni intercettate (cfr. f. 7), è preclusivo il rilievo che alle indicazioni di reità provenienti da conversazioni intercettate non si applica la regola di valutazione di cui all'art. 192 c.p.p., comma 3, ma quella generale del prudente apprezzamento del giudice, non essendo esse assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la persona imputata in procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi all'autorità giudiziaria. 3.3. Il terzo motivo è infondato. In tema di tentativo di estorsione, nell'ipotesi in cui la violenza o la minaccia sia reiterata, al fine di valutare se le condotte integrino una pluralità di reati, occorre prima accertare se ci si trovi in presenza di una azione unica o meno, e ciò alla stregua del duplice criterio: finalistico e temporale. Azione unica, infatti, non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di "atti" che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell'azione, una modalità esecutiva della condotta delittuosa. A sua volta, l'unicità del fine non basta ad imprimere all'azione un carattere unitario, essendo necessaria la cd. "contestualità", vale a dire l'immediato succedersi dei singoli atti, sì da rendere l'azione unica. Ne consegue che i diversi conatus posti in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonomi tentativi di reato, unificabili con il vincolo della continuazione, quando singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all'elemento temporale, appaiono dotati di una propria completa individualità; al contrario, si ha un solo tentativo di estorsione, pur in presenza di molteplici atti di minaccia, allorchè gli stessi, alla stregua dei criteri sopra enunciati, costituiscano singoli momenti di un'unica azione. Va, in proposito, affermato il seguente principio di diritto: "In tema di unità o pluralità di reati, le diverse condotte di violenza o minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonomi tentativi di estorsione, unificabili con il vincolo della continuazione, quando singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all'elemento temporale, appaiono dotati di una propria completa individualità; al contrario, si ha un solo tentativo di estorsione, pur in presenza di molteplici atti di violenza o minaccia, allorchè gli stessi costituiscano singoli momenti di un'unica azione". 3.3.1. Nel caso di specie, il Tribunale si è implicitamente conformato correttamente a tale principio, valorizzando, a fondamento dell'opzione per la pluralità di delitti tentati, unificati dal vincolo della continuazione, il rilievo (ancora una volta esauriente, logico, non contraddittorio, come tale esente da vizi rilevabili in questa sede) che "prima la richiesta di denaro da versare subito, poi la richiesta di una "guantiera di paste" da consegnare a Natale integrano distinte richieste estorsive". 4. Il rigetto, nel suo complesso, dei ricorsi comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 4.1. La cancelleria provvederà agli adempimenti previsti dall'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

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IV) Cass. pen., sez. II, Sent. del 05-06-2013, n. 27328

Massime

Non è ravvisabile il delitto di "ragion fattasi", ma quelli più gravi di rapina o di estorsione, ogni qualvolta la pretesa - nascendo da fatto illecito e non potendo comunque assumere la consistenza di un diritto - sia contra in ius (nella specie, relativa agli atti intimidatori posti in essere dal ricorrente, per esigere un credito derivante dalla fornitura di gasolio non pagato, secondo i giudici di legittimità, la minaccia si era estrinsecata in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio diritto, avendo la coartazione dell'altrui volontà assunto ex se i caratteri dell'ingiustizia, di conseguenza, anche la minaccia tesa a far valere quel diritto si trasforma in una condotta estorsiva).

Sentenza

Fatto e Diritto

- 1 - C.G., D.S.A. e F.R., le ultime due, madre e figlia, la prima titolare della Ditta Fini, la seconda dipendente che si occupava delle forniture ai clienti, indagati tutti per i delitti, in concorso e in continuazione, di estorsione aggravata e di detenzione e porto in luogo pubblico di materiale esplosivo - ex art. 81 cpv. c.p., art. 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2, e 2, 4, 895/1967 - con due atti distinti, ricorrono avverso l'ordinanza datata 16/22.1.2013 del tribunale di Roma che, in sede di appello del P.M. avverso il pregresso provvedimento di rigetto - gip del tribunale di Latina in data 5.7.2012 - della richiesta di custodia cautelare, disponeva la misura cautelare in carcere del C. e gli arresti domiciliari ai danni di D. S.A. e F.R..

- 2 - Il fatto secondo i giudici di merito in breve: per esigere un credito nei confronti di Ca.Sa., contitolare della società "Cobra Autotrasporti s.r.l., credito derivante dalla fornitura di gasolio non pagato ed ammontate ad Euro 18.458,48, per conto della ditta creditrice,la cui amministratrice unica era D. S.A., ma l'effettiva gestrice la di lei figlia F. R., il C., in compagnia di altra persona, si presentava il 29.6.2011 presso la abitazione della Ca., la invitava a pagare il debito nei confronti della signora F., dalla quale avevano ricevuto l'incarico, avvertendola poi con la seguente frase "gli altri si rivolgono agli avvocati e fanno tanti giri e perdono tempo, noi facciamo subito". I due si erano ripresentati successivamente, il 21.7.2011 ed ancora successivamente, il 22.7.2011, veniva lasciato davanti al cancello del deposito dei camion della ditta di cui era socia la persona offesa un ordigno incendiario, peraltro preannunciato da una telefonata, nel corso della quale, l'interlocutrice, la Ca., riconosceva la voce del C. che la avvertiva che avrebbe fatto un macello se non avesse pagato, ripetendo la frase "gli altri fanno tanti giri, noi facciamo subito..". I giudici di merito ritenevano fortemente indizianti le circostanze sopra indicate. - 3 - Le ragioni di doglianza della difesa del C. si concentrano e solo nel tentativo di dimostrare che la fattispecie più che rientrare nell'archetipo normativo della estorsione, doveva inquadrarsi nel diverso reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, per difettare nel caso di specie l'ingiusto profitto. Il ricorrente denuncia anche carenza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari per i modesti precedenti penali escludenti il pericolo di recidiva. Protestano per la carenza di motivazione le altre difese: in merito alla posizione di F.R. che riveste il ruolo di semplice dipendente della Ditta Fini, nella quale rivestiva funzione dirigenziale la di lei madre D.S.A., in merito alle due indagate insieme con riferimento e alla consistenza degli indizi di colpevolezza, non essendovi certo necessità di ricorrere a condotte di reato per il soddisfacimento di un credito certo ed esigibile attraverso una azione giudiziaria, e alle esigenze cautelari. - 5 - I ricorsi non sono fondati e pertanto vanno disattesi. Ai fini della decisione, è rilevante sottolineare il carattere di ingiustizia e di prevaricazione della condotta costitutiva di reato. Insieme anche al tentativo delle persona offesa, la Ca., prima della posizionamento dell'ordigno incendiario ai cancelli della ditta della persona offesa, di un compromesso con le indagate, F. R. e D.S.A., con il recarsi presso la ditta delle due e proporre un piano di rientro del debito attraverso il versamento mensile di Euro mille, decisamente rifiutato dalla creditrici. Una soluzione, in astratto non obbligata certo sul piano del diritto, ma socialmente conveniente ed utile nella pratica degli affari a fronte di rapporti obbligatoli nel contesto dei quali il debitore si trovasse in difficoltà economiche di adempiere presto e bene. Nel consegue che, in una tale particolare situazione, la pretesa di esercitare un preteso diritto deve pur fare i conti con la eventuale impossibilità dell'altra parte, magari per difficoltà o impossibilità sopravvenute ed oggettive, di adempiere, con la convenienza socio - economica generale di opportune transazioni a vantaggio del creditore e della stabilità dei rapporti giuridici in generale. Le notazioni di fatto inducono la Corte a respingere la doglianza della difesa del solo C., peraltro terzo in relazione al rapporto obbligatorio, che pretenderebbe la qualificazione del fatto di reato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e non di estorsione. Il che da ragione a quell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui non è ravvisabile il delitto di "ragion fattasi" ma quelli più gravi di rapina o di estorsione ogni qualvolta la pretesa - nascendo da fatto illecito e non potendo comunque assumere la consistenza di un diritto - sia "contra in ius". (applicazione del principio in tema di contratto con causa illecita). Nel caso di specie la minaccia si è estrinsecata in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio diritto, la coartazione dell'altrui volontà assumendo ex se i caratteri dell'ingiustizia, con la conseguenza che, in tal caso, anche la minaccia tesa a far valere quel diritto si trasforma in una condotta estorsiva a fronte della possibilità di ottenere soddisfazione del proprio diritto sia pure con modalità diverse da quelle pattuite ma imposte eventualmente dalla situazione di fatto condizionante la richiesta di un piano di rientro da parte del debitore impossibilita ad adempiere hic et nunc. I residui motivi di ricorso, sia con rifermento al fumus delicti sia con riferimento alla contestata sussistenza delle esigenze cautelari si avventurano nel piano del merito preclusivo al discorso giudiziale di legittimità: i giudici di merito hanno fatto perno sulla gravità ed ingiustizia della minaccia, costituita dal gesto sia pur simbolico, ma gravido di significati pericolosi ed aggressivi, di un ordigno incendiario ai cancelli della ditta debitrice. Le posizioni poi delle due indagate non possono certo separarsi, per aver partecipato la figlia della titolare della Ditta Fini, almeno sul piano del valori consoni alla fase investigativa, quelli della probabilità della postulazione accusatoria, alle vicende fattuali, ricevendo la persona offesa ed opponendole il netto rifiuto alla mediazione proposta.

V. anche Cass. pen., sez. V, Sent. del 06-03-2013, n. 19230

Massima

Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che esprime tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio, preteso diritto, sicché la coartazione dell'altrui volontà deve ritenersi assuma "ex se" i caratteri dell'ingiustizia.

V. anche Cass. pen., sez. II, Sent. del 31-01-2013, n. 7972

Massima

Integra gli estremi del delitto di estorsione la minaccia o violenza finalizzata ad ottenere l'adempimento di un'obbligazione naturale, per la quale non è data azione davanti al giudice. (Fattispecie in tema di credito derivante da gioco d'azzardo).

V. anche Cass. pen., sez. II, Sent. del 18-01-2013, n. 5239

Massima

Integra minaccia idonea a configurare il delitto di estorsione la prospettazione di presentare alla magistratura ed alle forze di polizia una denuncia dichiaratamente diretta al riconoscimento di un diritto di credito sfornito di prova e non azionabile in sede giudiziaria, laddove finalizzata alla realizzazione di un profitto ingiusto.

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VI) Cass. pen., sez. II, Sent. del 05-03-2013, n. 24917

Massime

In tema di estorsione, la minaccia tipica può assumere configurazioni diverse, purché limitino la libertà di autodeterminazione della vittima (nella specie, la Corte ha ritenuto integrata l'ipotesi nella condotta dell'imputato che aveva minacciare di rivelare nel paese la relazione sessuale di una donna, in modo da "screditarla")

Sentenza

Fatto

1. Con sentenza in data 13.4.2012, la Corte di appello di Potenza, confermava la sentenza del Tribunale di Matera, datata 1.7.2009, che aveva assolto R.G. dal delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p., perchè, in tre specifiche occasioni, con violenza e minacce abusava sessualmente di C.M.R.; la prima volta, quando con la C. non era ancora iniziato alcun tipo di relazione, presentandosi a casa della C. con una scusa, improvvisamente la prendeva di forza per un braccio e la spingeva verso la camera da letto ed ivi, afferrandola per i capelli e bloccandole la testa, riusciva a spogliarla ed a costringerla ad un rapporto sessuale vaginale; nelle altre occasioni, quando con la C. era iniziata una sorta di relazione sentimentale, prendendola per i capelli la costringeva ad inginocchiarsi, a girarsi e poi subire rapporti sessuali anali; In (OMISSIS) (delitto denunciato solo nel (OMISSIS) ma connesso a quello di cui al capo b) ai sensi dell' art. 12 c.p.p. seconda parte, riavviandosi l'unico disegno criminoso nel voler porre la p.o. in uno stato di prostrazione psicologica allo scopo di ottenere profitti indicati nel capo che segue); e lo aveva condannato alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 1400,00 di multa per il reato di del delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 629 c.p., perchè, minacciando costantemente C.M. R. di riferire in tutto il paese che ella aveva rapporti sessuali con lui, ed in una occasione percuotendola con calci e pugni, costringeva la C. a versargli continuamente danaro ed a donargli gioielli ed in particolare a consegnargli tutti i risparmi da lei conservati sul libretto (OMISSIS) per un ammontare 62.518.950 di lire, il danaro proveniente dalla riscossione di alcuni buoni postali di cui lei era titolare e per l'ammontare di lire 67.500.000, la somma mensile di 1.000.000 di lire che detraeva dal suo stipendio (nel periodo (OMISSIS)) per l'ammontare di 45.000.000 di lire ed infine preziosi del valore di lire 1.500.000, così procurandosi l'ingiusto profitto della somma di 176.518.950 di lire ai danni della stessa. In (OMISSIS). 1.1 Avverso tale sentenza propone ricorso il difensore di fiducia dell'imputato chiedendo l'annullamento della sentenza e deducendo a motivo: la violazione dell' art. 606 c. 1 lettera e) cod.proc.pen. per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova, omessa valutazione di prove assunte e incompletezza dell'apparato argomentativo. Lamenta il ricorrente che la Corte d'appello non ha tenuto conto delle incongruenze insite nelle dichiarazioni della parte lesa, che è stata risentita in appello proprio in ragioni di tali incongruenze e che comunque tali dichiarazioni non sono state adeguatamente riscontrate perchè non sono provati i prelievi di danaro dalle disponibilità della donna e gli accrediti sul libretto del R.. 1.2 La motivazione della Corte,inoltre, poichè insiste sulla prostrazione psichica in cui versava la parte lesa della quale ha abusato l'imputato, giustifica una ipotesi di circonvenzione d'incapace e non quella di estorsione, tanto più che nessuna valutazione è stata fatta dalla Corte circa l'idoneità della minaccia di "sputtanamento" denunciata dalla parte lesa. Infine non è adeguatamente motivato il diniego delle generiche a fronte dello stato di incensuratezza dell'imputato che la Corte non ha considerato degno di valutazione a fronte della considerevole somma estorta e della mancata resipiscenza dell'imputato.

Diritto

2. Il ricorso è inammissibile perchè vengono dedotti motivi affatto generici non consentiti nel giudizio di legittimità. 2.1 Il ricorrente, infatti, si limita a denunciare assertivamente il vizio della motivazione senza peraltro precisare in che termini si concretizza l'illogicità manifesta ovvero la contraddittorietà della motivazione. Inoltre il ricorrente censura le dichiarazioni rese dalla C. ma non precisa quali sono le parti viziate, interdicendo, in tal modo, il controllo di questa Corte che non ha un autonomo potere di scelta degli atti da sottoporre al vaglio. 2.2 Per contro la Corte territoriale, con una motivazione attenta e priva di manifesta illogicità, ha precisato che la necessità di risentire la parte lesa era stata determinata dall'esigenza di approfondire temi solo sfiorati dall'analisi di primo grado e non certo da una valutazione di scarsa credibilità della teste. 2.3 In merito alla minaccia, che qualifica il reato di estorsione e che come esattamente posto in luce in motivazione può assumere le configurazioni più diverse, la Corte ha ritenuto, in fatto, che la minaccia di propalare nel paese la relazione con la donna, in modo da "sputtanarla", andava contestualizzata nel modo seguente "in un paese di provincia, ha avuto come protagonista femminile una donna quarantatreenne, scarsamente acculturata, timida, introversa e riservata, priva di ogni significativa esperienza di vita, per di più vittima, a causa della recente perdita della madre, di una stato di acuta prostrazione fisica e morale, la quale si è imbattuta in un giovane venticinquenne, pseudo parente, col quale ha intrapreso una relazione del tutto sommersa, priva di manifestazioni esterne, consumatasi domesticamente all'interno dell'abitazione della donna ed i cui riflessi sono stati a mala pena percepiti dai prossimi congiunti e da una vicina di casa della donna" e che l'ambito oggettivo e soggettivo della fattispecie, così individuato, ha sicuramente determinato nella parte lesa "un'effettiva compressione della sua libertà di autodeterminazione in conseguenza della quale ella abbia deciso di accettare un male minore consistito nelle dazioni di denaro richiestele dal R." (vedi pag. 6). 2.4 La motivazione addotta dalla Corte non presenta motivi di illogicità manifesta perchè è giustificata da una motivazione congrua ed esaustiva; al contrario di quanto affermato in ricorso, essa prospetta fatti, quali l'accurata volontà di mantenere segreta e non visibile all'esterno la relazione intima, che letti anche alla luce dei passaggi di valori tra la parte lesa ed il R., rendono assolutamente congrua e convincente la ricostruzione formulata dalla Corte. Rimane, pertanto, assolutamente esclusa la possibilità di virare i fatti sotto specie di circonvenzione di incapace, che tale non era la parte lesa e che comunque è fattispecie delittuosa non ravvisabile quando l'atto pregiudizievole è indotto con la violenza e la minaccia, come nel caso in esame. 2.5 D'altra parte vale qui ricordare che il controllo di legittimità della Corte di cassazione non ha come scopo di stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione in esame sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. Restano escluse da tale controllo sia l'interpretazione degli elementi a disposizione del Giudice di merito sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente. (Sez. 6, Sentenza n. 1762 del 15/05/1998 Cc. - dep. 01/06/1998 -Rv. 210923; sì vedano anche Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955). 2.6 Ciò vale anche per il motivo relativo al diniego delle attenuanti generiche, che la Corte ha formulato con riferimento oggettivo, al protrarsi per lungo tempo della condotta criminosa ed alla elevata consistenza del danno cagionato alla parte lesa, e soggettivo, con riferimento all'intensità del dolo ed alla assoluta incapacità dell'imputato di apprezzare il disvalore della propria condotta. Il ricorrente si limita a contestare il giudizio dato dalla Corte contrapponendo la incensuratezza dell'imputato, in tal modo reiterando il vizio del motivo di ricorso che mira solo ad accreditare una diversa lettura degli elementi valutati dalla Corte. 3. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile: ai sensi dell' art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00). 3.1 Il ricorrente va anche condannato a rifondere alla parte civile le spese del grado che si liquidano come da dispositivo.

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V) Cass. pen., sez. II, Sent. del 05-06-2013, n. 27328

Massime

Costituisce intimidazione illegittima, idonea, come tale, ad integrare il delitto di estorsione ex art. 629 cod. pen., anche una minaccia dalla parvenza esteriore di legalità allorquando sia fatta, non già con l'intenzione di esercitare un diritto, ma allo scopo di coartare l'altrui volontà e di ottenere risultati non consentiti attraverso prestazioni non dovute nell'"an" o nel "quantum" o "quando", pur correlandosi ad un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento se ne realizzi, suo tramite, un distorto ed abusivo esercizio per il conseguimento di scopi "contra ius", dovendosi valutare sia l'eccedenza del mezzo rispetto allo scopo perseguito che l'eccedenza del fine perseguito rispetto alla portata del diritto esercitato.

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VI) Cass. pen., sez. V, Sent. del 07-03-2013, n. 16397

Massima

La minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita ed indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera.

Sentenza

Fatto

Con sentenza del 9.11.2010, il Tribunale di Lecce dichiarò R. G. responsabile dei reati di cui all'art. 9, comma 1 (così qualificata l'originaria contestazione di cui alla L. n.1423/1956, comma 2), (capo a) e art. 116 C.d.S., commi 1 e 13 (capo c) e lo condannò alla pena di mesi 3 di arresto ed Euro 2.257,00 di ammenda. L'imputato fu assolto dal reato di cui all' art. 629 cod. pen. (capo b) perchè il fatto non sussiste. Avverso tale pronunzia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce propose gravame e la Corte d'appello di Lecce, con sentenza del 13.6.2012, in parziale riforma della decisione di primo grado, dato atto che la condanna per guida senza patente era passata in giudicato, riqualificò il reato di cui al capo a nell'originaria ipotesi di cui alla   L. n.1423/1956, comma 2) dichiarò l'imputato altresì colpevole del reato di cui al capo b), ritenuto il concorso formale e riconosciute le attenuanti generiche ed esclusa la recidiva, lo condannò alla pena di anni 3 mesi 7 di reclusione ed Euro 900,00 di multa, pena accessoria. Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato il quale, dopo aver premesso che R.G. aveva richiesto ad O.A. l'autovettura di costui in prestito, che successivamente era stato aggredito da G.G. che gli aveva procurato lesioni ed aveva danneggiato il veicolo) deduce: 1. violazione della legge processuale in relazione alla mancata valutazione da parte del giudice d'appello di risultanze favorevoli all'imputato quali: che O.A. aveva dichiarato di aver prestato l'autovettura a R.; che R., dopo aver subito un'aggressione da parte di G.G. aveva dichiarato di aver avuto in prestito il veicolo; che subito dopo aver consegnato l'auto a R., O. aveva ripreso a giocare a calcio; che O. ha dichiarato che era sua intenzione presentare denunzia solo per i danni subiti dalla sua autovettura; 2. vizio di motivazione in quanto la sentenza di appello oltre a non motivare su gli elementi sopra indicati, aveva omesso di confutare adeguatamente le argomentazioni del giudice di primo grado; 3. vizio di motivazione per avere la Corte territoriale tratto conclusioni dalle dichiarazioni di O.A. non congruenti con le stesse; infatti O. ha riferito di non essere stato minacciato, ma di essersi spaventato conoscendo i precedenti di R.; ciò nonostante la Corte d'appello ha ritenuto che il comportamento di R. preludesse ad una reazione violenta laddove perdurasse il rifiuto di O.; 4. violazione di legge in quanto nel caso in esame non vi sarebbe stata alcuna condotta minacciosa o violenta, nè l'intenzione di procurarsi un ingiusto vantaggio con altrui danno.

Diritto

Tutti i motivi di ricorso sono infondati ed in parte svolgono censure di merito. La Corte d'appello ha ritenuto, sulla scorta delle dichiarazioni rese da O.A., che lo stesso si sia indotto a consegnare l'autovettura in quanto R.G., di cui conosceva i precedenti penali, "ha alzato il tono di voce, mi sono spaventato, poteva avere pure qualche reazione con me" (p. 4 sentenza impugnata). Il tale valutazione di merito, fondata sul tono fermo e arrogante, assenza di spiegazioni, reiterazione della pretesa, spavalderia dell'interlocutore e mutamento del tono di voce dopo il primo rifiuto, nonchè in ragione dei precedenti penali dell'imputato noti alla persona offesa (p. 5 e 6 sentenza impugnata) non vi è alcuna violazione di legge o vizio di motivazione. Questa Corte ha infatti chiarito che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita ed indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19724 del 20/05/2010 dep. 25/05/2010 Rv. 247117, già citata nella sentenza impugnata). La Corte territoriale ha confutato le diverse argomentazioni del Tribunale e motivato anche in punto di elemento soggettivo e dell'esistenza dell'ingiusto profitto (disponibilità dell'auto) con danno della persona offesa (conseguente alla privazione dell'autovettura). Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

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VII) Cass. pen., sez. V, Sent. del 05-02-2013, n. 12568

Massima

In tema di tentata estorsione, l'idoneità degli atti deve essere valutata con giudizio operato "ex ante": ne consegue che, ai fini della valutazione dell'idoneità di una minaccia estorsiva, è priva di rilievo la capacità di resistenza dimostrata, dopo la formulazione della minaccia, dalla vittima.

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VIII) Cass. pen., sez. V, Sent. del 31-01-2013, n. 6818

Massima

Integra il delitto di estorsione la condotta di colui che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo per l'attività di intermediazione posta in essere per la restituzione del bene sottratto, in quanto la vittima subisce gli effetti della minaccia implicita della mancata restituzione del bene come conseguenza del mancato versamento di tale compenso.

Sentenza

Fatto

1. Con sentenza in data 30/3/2012, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese, in data 27/5/2009, appellata dall'imputato e dal Pubblico Ministero, dichiarava P.G. colpevole del reato di estorsione di cui al capo D) e, riconosciuta l'attenuante del danno di speciale tenuità, da ritenersi prevalente sulla contestata recidiva, lo condannava alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed Euro 400,00 di multa; dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo imputato in ordine ai reati ascrittigli ai capi C) ed E) per prescrizione e rideterminava la pena per i residui reati di danneggiamento aggravato e violazione di domicilio sub A) e B), ad anni uno e mesi otto di reclusione. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato con due atti separati, a firma l'uno dell'avv. Vazzana e l'altro dell'avv. Incandela. 3. L'avv. Vazzana solleva tre motivi di ricorso con i quali deduce: 3.1 Violazione di legge in ordine al reato di danneggiamento, eccependo che il fatto doveva considerarsi involontario perchè il danneggiamento si era verificato in modo casuale durante un violento litigio con i fratelli D.. 3.2 Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento al reato di estorsione, eccependo che nella fattispecie non ricorrono gli estremi della condotta punibile per l'assenza di violenza o minaccia atta a coartare la volontà della persona offesa. 3.3 Vizio della motivazione dolendosi del diniego delle attenuanti generiche. 4. L'avv. Incandela solleva tre motivi di ricorso con i quali deduce: 4.1 Mancata acquisizione di una prova decisiva in ordine alla volontarietà del reato di danneggiamento. 4.2 Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento al reato di estorsione. Al riguardo contesta la credibilità delle dichiarazioni della persona offesa e si duole di illogicità della motivazione sul punto, osservando che la presunta estorsione risalente al 2001 è stata denunziata da D.G. soltanto nel 2005 in concomitanza con il procedimento penale a carico del fratello P. per l'imputazione di omicidio e tentato omicidio in danno di P.M. e G.. 4.3 Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche che nel caso di specie andavano riconosciute con criterio di prevalenza sulla contestata aggravante.

Diritto 

1. Il ricorso è infondato. 2. I motivi di ricorso sollevati dai due differenti difensori sono analoghi e pertanto possono essere trattati insieme. 3. Per quanto riguarda le censure in punto di volontarietà del danneggiamento, le stesse risultano destituite di fondamento. La Corte d'appello ha confutato le analoghe obiezioni sollevate con i motivi d'appello con motivazione congrua e priva di vizi logico giuridici, osservando che per la volontarietà del fatto deponeva non soltanto la dichiarazione della parte offesa, D.R., ma anche le convergenti dichiarazioni dei testi C.G. e P.G., escussi dalla Corte d'Assise nel procedimento a carico di D.P. per l'omicidio di P.M. ed il ferimento di P.G., acquisiti con il consenso della difesa. "Tali elementi - conclude la Corte - palesano l'inequivoca volontà del P. di danneggiare la vetrina del frigobar per minacciare il titolare del locale e confermano la veridicità delle accuse del querelante". Nessun dubbio, pertanto, può sussistere sulla volontarietà del danneggiamento. 4. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. In punto di diritto non possono essere accolte le obiezioni di non configurabilità del delitto di estorsione per l'assenza di minaccia. Secondo l'insegnamento di questa Corte, infatti, integra il delitto di estorsione il fatto di colui che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo dell'attività di intermediazione posta in essere per la restituzione del bene sottratto, in quanto la vittima subisce gli effetti di una minaccia implicita, e cioè quella della mancata restituzione del bene, in mancanza del versamento della richiesta di denaro a compenso dell'attività di intermediazione svolta (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4565 del 02/12/2004 Ud. (dep. 08/02/2005 ) Rv. 230908). 5. Per quanto riguarda le censure circa la credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, D.G., il tema è stato esaminato dalla Corte d'Appello che ha ribaltato le conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale, attraverso una specifica confutazione del percorso argomentativo seguito dai giudici del primo grado. In particolare la Corte ha indicato una circostanza decisiva, idonea a ribaltare le conclusioni assunte in prime cure, osservando che: "Va sottolineato che dalle contestazioni effettuate in udienza emerge che il teste ha parlato per la prima volta dell'estorsione patita nel 2001 ad opera del P., la notte del (OMISSIS) alle h.1,00, subito dopo i fatti di sangue (..) Tale circostanza che il Tribunale ha omesso di considerare - ritenendo che le prime dichiarazioni siano state emesse a novembre 2005 - è sicuro sintomo della genuinità dell'accusa del teste, poichè è certo che in un contesto così drammatico, quale l'omicidio consumato ad opera del fratello nella pizzeria di famiglia, il D. non poteva avere la lucidità del tempo di preordinare una calunnia".

 

 

Tag: Diritto Penale, estorsione ed usura



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